Programma

Antonio Vivaldi (Venezia, 1678 – Vienna, 1741)

Beatus Vir”, in mi bemolle maggiore, RV 598

  1. “Beatus vir qui timet Dominum” (Coro)
  2. “Potens in terra erit semen eius” (Soli/Coro)
  3. “Gloria et divitiae” (Aria)
  4. “Exortum est in tenebris” (Coro)
  5. “Jucundus homo” (Duetto)
  6. “In memoria aeterna erit justus” (Aria)
  7. “Paratum cor ejus” (Coro)
  8. “Peccator videbit” (Aria o Coro)
  9. “Gloria Patri” (Grande fugato corale)
  10. “Sicut erat in principio” (Coro)

Antonio Vivaldi si dedicò al Salmo 111, “Beatus Vir”, almeno tre volte ma delle tre pagine quella con numero di catalogo RV 599, in si bemolle maggiore, è andata perduta. Del “Beatus Vir” in programma, l’unica fonte è rappresentata dal manoscritto originale conservato nella Biblioteca Universitaria di Torino.
Composta probabilmente tra il 1711 e il 1719, cioè nel primo periodo di impegno del Prete Rosso presso l’Ospedale della Pietà di Venezia come Maestro del Coro e compositore, era destinata alla liturgia dei Vespri. Vi emergono alcuni tratti distintivi della cifra stilistica vivaldiana: l’uso attento della compagine orchestrale; l’adozione di elementi contrappuntistici e ampie zone melodiche; l’alternanza tra concertati, ariosi e fugati, sostenuta da una grande attenzione per il contrasto ritmico che derivava al compositore dalla sua esperienza operistica.
Di durata contenuta, si articola in un unico movimento all’interno del quale i versi del Salmo costituiscono altrettante sezioni la cui esecuzione è affidata alternatamente a solisti e coro al fine di creare quasi un piccolo Oratorio, autonomo e completo in ogni sua parte.
Il primo verso «Beatus vir qui timet Dominum / in mandatis eius volet nimis», in re maggiore, è una festosa introduzione dal carattere di Ouverture, in cui lo stato di beatitudine del giusto è reso da un andamento di marcia sul quale gli slanci melodici ascendenti enfatizzano la parola, riportando al timor di Dio come via per l’elevazione spirituale.
Il secondo verso «Potens in terra erit semen eius, / generatio rectorum benedicetur», affidato al Duetto soprano-contralto, nell’intimità sonora del gioco imitativo giocato sul registro medio, evoca la fecondità in stretta aderenza con il testo latino.
Il terzo verso «Gloria et divitiae in domo eius / et iustitia eius manet in saeculum saeculi» è affidato alla voce solista e presenta una particolare ricchezza di melismi e colorature.
«Exortum est in tenebris lumen rectis: / misericors, et miserator, et iustus» richiama il tema delle tenebre attraverso un gioco di chiaroscuri che si avvale anche di brevi inserti fugati nel quali le parole «exortum est» sono rese vivide dalla repentina ascesa del tema.
«Jocundus homo qui miseretur et commodat; / disponet sermones suos in judicio. [6] Quia in aeternum non commovebitur», verso quinto e parte del sesto, basano la loro forza sulla leggerezza e sulla simmetria di frasi musicali che insistono sulla dolcezza dell’emissione.
Il sesto verso (e parte del settimo) «[…] In memoria aeterna erit justus. / [7] Ab auditione mala non timebit» ha carattere elegiaco e contemplativo, reso attraverso un’orchestrazione sobria che insiste sugli arpeggi.
«Paratum cor eius sperare in Domino / [8] Confirmatum est cor eius, non commovebitur, / donec despiciat inimicos suos. [9] Dispersit, dedit pauperibus; / iustitia eius manet in saeculum saeculi: / cornu eius exaltabitur in gloria» ha movimento ritmico deciso che enfatizza la parola.
In «Peccator videbit et irascetur, / dentibus suis fremet et tabescet: / desiderium peccatorum peribit» la tensione drammatica sale a rappresentare musicalmente il disfacimento del peccatore. Il concetto di ira è reso attraverso l’uso di intervalli dissonanti e cromatismi che si appoggiano su un ritmo spezzato più tipico del Recitativo accompagnato.
È sul grande finale «Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto. / Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in saecula saeculorum» che Vivaldi si riappropria della grandiosità attraverso la forma della Fuga e Corale, recupera lo stile antico e giunge al culmine architettonico del suo Salmo 111 con una costruzione polifonica che si chiude trionfalmente nell’Amen.

Emanuela E. Abbadessa

Gloria”, in re maggiore, RV 589

  1. “Gloria in excelsis Deo”, Allegro (Coro)
  2. “Et in terra pax hominibus”, Andante (Coro)
  3. “Laudamus te”, Allegro (Soprani I e II)
  4. “Gratias agimus tibi”, Adagio (Coro)
  5. “Propter magnam gloriam”, Allegro (Coro)
  6. “Domine Deus”, Largo (Soprano)
  7. “Domine Fili Unigenite”, Allegro (Coro)
  8. “Domine Deus, Agnus Dei”, Adagio (Contralto e Coro)
  9. “Qui tollis peccata mundi”, Adagio (Coro)
  10. “Qui sedes ad dextram Patris”, Allegro (Contralto)
  11. “Quoniam tu solus Sanctus”, Allegro (Coro)
  12. “Cum Sancto Spiritu”, Allegro (Coro)

Nonostante la fama di Vivaldi sia legata soprattutto alle opere strumentali, la musica vocale, e quella sacra in particolare, rappresentano parte importantissima nella sua produzione. Egli anticipa la musica sacra dei periodi successivi, riuscendo a mantenere distinta, il più delle volte, l’ispirazione dalle ragioni contingenti legate alle composizioni stesse. Dei due “Gloria” composti, quello in re maggiore fa parte del gruppo delle opere più importanti di Vivaldi e anche delle più popolari.
La composizione è da ricondurre alla collaborazione, iniziata nel 1703, che Vivaldi ebbe con la Pietà, uno dei quattro orfanotrofi-conservatori veneziani per fanciulle. Ed è infatti a tale epoca che si fa risalire la composizione del “Gloria”, facente parte di quella esigua parte di pagine sacre giunte fino a noi e rese accessibili solo in tempi recenti: fino al secondo decennio del Novecento se ne conoscevano infatti pochissime.
Dei dodici movimenti di cui si compone, solo pochi sono concepiti anche per voci soliste: in essi le parti vocali e quelle strumentali sono, sia pure solo parzialmente, connesse dal punto di vista tematico. Nei movimenti affidati al coro, invece, il compositore conduce quasi sempre le voci in modo indipendente.
Il primo movimento «Gloria in excelsis Deo», uno dei brani più famosi della letteratura musicale barocca, con le sue ottave ribattute mostra una caratteristica specifica di Vivaldi: quella di riuscire a sviluppare energia da cellule elementari ma che, proprio in tale semplicità, trovano la loro ragion d’essere musicale e strutturale.
Il secondo movimento «Et in terra pax hominibus» si caratterizza per un disegno armonico poco prevedibile; nello stile del fugato il procedimento della modulazione viene condotto attraverso percorsi quasi elaborati, producendo effetti di grande interesse.
Il terzo movimento «Laudamus te» è affidato a soprano I e II che si rimandano a vicenda il tema, a volte ripetendolo tale e quale, a volte variandolo.
Il quarto movimento «Gratias agimus tibi» è un pezzo di sole sei battute, composto da una successione di accordi con la funzione di introdurre il pezzo successivo.
Il quinto «Propter magnam gloriam» è una fuga; la iniziano i soprani seguiti dai contralti, dai tenori e dai bassi; più avanti, nella seconda sezione, l’ordine degli attacchi è simmetricamente contrario.
Il sesto movimento «Domine Deus» è caratterizzato dal tempo alla siciliana, con quell’andamento tranquillo, cullante, tipico del genere; il soprano espone un’ampia melodia con sviluppi e variazioni che confermano il carattere pastorale del brano (non c’è una motivazione legata al testo, e qui esce fuori un’altra peculiarità dello stile vivaldiano, ossia quello di interpretare splendidamente la parola ma, dopo averli presentati, sviluppare i motivi in modo indipendente dal significato delle parole stesse, facendo trapelare sempre quella speciale inclinazione verso la musica strumentale).
Il settimo movimento «Domine Fili Unigenite», affidato al coro, si caratterizza per l’ossessivo ritmo puntato e i vocalizzi fortemente scanditi: anche qui è difficile trovare un rapporto tra il significato della parola e la composizione musicale, confermando ancora l’impressione che questo “Gloria” sia una sorta di concerto strumentale affidato alle voci.
L’ottavo movimento «Domine Deus Agnus Dei» ha tono introverso e riflessivo; il violoncello vi ha un ruolo dominante e anticipa gli interventi della voce solista inframmezzati da interventi del coro che musicalmente fungono da accordi.
Il testo del nono movimento «Qui tollis peccata mundi» era stato già esposto, nella sua prima semifrase, nel brano precedente, quando il coro si alternava con il solista. Ora riprende le stesse parole ma le conclude con la frase «suscipe deprecationem nostram». Il brano si divide in due parti: nella prima, di sole sette battute in tempo di Adagio, si hanno accordi lenti e solenni; nella seconda parte, sulle parole «suscipe deprecationem nostram» persiste l’andamento omofonico, ma Allegro.
Il decimo movimento «Qui sedes ad dexteram Patris» è affidato al mezzosoprano; tutto il brano si svolge in un’alternanza di interventi solistici e orchestrali.
Per quanto riguarda l’undicesimo movimento «Quoniam tu solus Sanctus», si tratta della ripresa del tema dell’inizio “Gloria”, ma in versione abbreviata.
Il dodicesimo movimento «Cum Sancto Spiritu» è una classica fuga il cui soggetto è caratterizzato melodicamente, mentre il controsoggetto, basato com’era d’uso su valori più brevi, gli si contrappone in modo molto visibile.

Danilo Galliani