Stabat Mater

CHIESA DI SAN MATTEO, LAIGUEGLIA
Mercoledì 19 luglio, ore 21.00

SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DI MISERICORDIA, SAVONA
Venerdì 21 luglio, ore 21.00

CHIESA DEI SANTI GIACOMO E FILIPPO, ANDORA
Domenica 23 luglio, ore 21.00

TEATRO ALFIERI, ASTI
Mercoledì 26 luglio, ore 21.00

SANTUARIO DI SANTA CROCE IN MONTE CALVARIO, IMPERIA
Venerdì 11 agosto, ore 21.30

 

STABAT MATER
Giovan Battista Pergolesi

Interpreti Ksenia Bomarsi e Sofia Janelidze

Direttore Manuela Ranno

Regia e drammaturgia Renato Bonajuto

Scene Danilo Coppola

VOXONUS ENSEMBLE

 

Ebbe molteplici redazioni e, nella forma a noi nota, fu messo in musica da oltre 400 compositori, da Palestrina a Lasso, da Vivaldi a Caldara, da Boccherini ad Haydn, da Mozart a Winter, Schubert, Rossini, Liszt, Verdi e molti altri.
Lo “Stabat Mater” è certamente l’opera sacra più nota di Pergolesi, forte di un enorme numero di esecuzioni, copie manoscritte ed edizioni a stampa, ma anche in grazie alle molte parodie (celeberrima quella di Johann Sebastian Bach) che, fin dall’inizio, si diffusero con grande rapidità in tutta Europa.
È anche una delle poche pagine del Settecento sempre rimasta in repertorio e con la quale tutti i compositori successivi a Pergolesi sono stati obbligati a confrontarsi.
A pochi anni dopo la sua creazione, una copia della partitura si trovava già nella biblioteca del Kantor, quasi ad attestare non solo il suo successo ma anche la permeabilità degli ambienti musicali europei e l’estrema rapidità e attenzione con cui il maestro di Lipsia seguiva la produzione italiana.
Per molti lo “Stabat Mater” di riferimento fu proprio quello di Pergolesi e Vincenzo Bellini al pianoforte usava ripetere che non poteva suonarlo senza piangere. Lo stesso Rossini, giunto alla maturità, meditò a lungo sull’opportunità di confrontarsi con questa Sequenza, ben sapendo quanto fosse arduo provare ad accostarsi alle altezze irraggiungibili della pagina sublime di Pergolesi.
Il testo dello “Stabat Mater”, attribuito a Jacopone da Todi, racconta esattamente quello che succede durante la crocifissione, attraverso lo sguardo pietoso della Madre. Lo fa in un latino estremamente comprensibile e la scrittura pergolesiana sembra asservirsi allo strazio della Madonna.
La musica, così, diventa una forma di catechesi dei semplici, capace, come spesso le parole non riescono a essere, di creare empatia attraverso i suoni, sempre attentissimi al procedere della parola.
A un soprano, un contralto e una piccola orchestra d’archi (con accompagnamento dell’organo) Pergolesi affidò questo testo in cui il tormento di Maria ai piedi della croce si trasforma in chiamata a condividere la desolazione e il pianto della Madonna di fronte al corpo straziato del Figlio, restituendo la violenza quasi fisica della spada che trapassa il cuore della Vergine, donando la contemplazione commossa della morte del Cristo in climax che culmina nel grandioso e commovente “Amen” finale, un’invocazione capace di aprire uno squarcio di fiducioso abbandono nei confronti di un insondabile mistero.
È così che la musica celebra senza esplicitarla, la vittoria della vita sulla morte e preannuncia la gioia della Resurrezione.
La capacità di mimetismo della scrittura pergolesiana è evidente nell’obiettivo del compositore che, aderendo alle tecniche dell’epoca, vuole fare avvertire all’ascoltatore il dolore. E per farlo traduce musicalmente le sensazioni fisiche.
Nel primo movimento, per esempio, tutte le volte che una voce entra, andando a scontrarsi con l’altra, l’orchestra fa esattamente la stessa cosa: l’orchestra, dunque, qui rappresenta il mondo, magari anche quello non umano, la creazione, che partecipa del dolore della Madre.
Una di fronte all’altra, troviamo due donne che parlano quasi senza dialogare e sembra che Pergolesi adoperi una tecnica cinematografica inquadrandone una e raccontando l’azione. Inquadra dal basso, dai piedi della croce a significare che lo sguardo sulle donne è quello del Figlio.
Ciò che Jacopone fa con le parole, Pergolesi lo fa con i suoni facendo risuonare in noi la successione di verbi: tutti al passato – stabat, pertransivit, vidit… – fino circa a metà del testo quando la storia recupera il suo tempo e l’angoscia della Madre diviene angoscia di ciascuno, di ciascuno quel dolore, di tutti quella Madre. Dalla metà circa, dunque, Jacopone sposta il tempo della narrazione e parla dell’oggi ma Pergolesi lo segue e ponendo un Allegro che nulla ha a che fare con il clima festoso ma è piuttosto ritorno al movimento vitale – all’oggi appunto – in cui le voci si rincorrono (Fac me…, Fac ut…) in una sorta di “combattimento” in cui si implora la forza di poter rivivere adesso la passione di allora.
In chiusura, il testo Quando corpus moriétur / fac, ut ánimae donétur / paradísi glória (quando il corpo morirà, fai in modo che all’anima sia donata la gloria del paradiso) contiene la sintesi dell’intera Sequenza in un’invocazione intensissima: l’uomo è salvato da Cristo, e chiede di poter partecipare alla gloria eterna, con uno struggimento straordinario prima della “parola definitiva”, amen, posta come roccia inscalfibile che è la fine ed è l’inizio della vita, per tutti.

 

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