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Per molti Antonio Vivaldi è il compositore più importante che l’Italia abbia avuto tra Corelli e Rossini. Nonostante la fama di Vivaldi sia legata soprattutto alle opere strumentali, la musica vocale, e quella sacra in particolare, rappresentano parte importantissima nella sua produzione. Egli anticipa la musica sacra dei periodi successivi, riuscendo a mantenere distinta, il più delle volte, l’ispirazione dalle ragioni contingenti legate alle composizioni stesse.
“Beatus Vir”, in mi bemolle maggiore, RV 598
- Beatus vir qui timet Dominum
- Potens in terra erit semen eius
- Gloria et divitiae
- Exortum est in tenebris
- Jucundus homo
- In memoria aeterna erit justus
- Paratum cor ejus
- Peccator videbit
- Gloria Patri
- Sicut erat in principio
Antonio Vivaldi si dedicò al Salmo 111, “Beatus Vir”, almeno tre volte ma delle tre pagine quella con numero di catalogo RV 599, in si bemolle maggiore, è andata perduta. Del “Beatus Vir” in programma, l’unica fonte è rappresentata dal manoscritto originale conservato nella Biblioteca Universitaria di Torino.
Composta probabilmente tra il 1711 e il 1719, cioè nel primo periodo di impegno del Prete Rosso presso l’Ospedale della Pietà di Venezia come Maestro del Coro e compositore, era destinata alla liturgia dei Vespri.
Vi emergono chiari alcuni tratti distintivi della cifra stilistica vivaldiana: l’uso attento e sapiente della compagine orchestrale; l’adozione di elementi contrappuntistici e ampie zone melodiche; l’alternanza tra concertati, ariosi e fugati, sostenuta da una grande attenzione per il contrasto ritmico che derivava al compositore dalla sua esperienza operistica.
Di durata estremamente contenuta, si articola in un unico movimento all’interno del quale i versi del Salmo costituiscono altrettante sezioni la cui esecuzione è affidata alternatamente a solisti e coro al fine di creare quasi un piccolo Oratorio, autonomo e completo in ogni sua parte.
Dei due “Gloria” composti, quello in re maggiore RV 589 fa parte del gruppo delle opere più importanti di Vivaldi e anche delle più popolari La composizione è da ricondurre alla collaborazione, iniziata nel 1703, che Vivaldi ebbe con la Pietà, uno dei quattro orfanotrofi-conservatori veneziani per fanciulle. Ed è infatti a tale epoca che si fa risalire la composizione del “Gloria”, facente parte di quella esigua parte delle pagine sacre giunte fino a noi e rese accessibili solo in tempi recenti: fino al secondo decennio del Novecento se ne conoscevano infatti pochissime.
Dei dodici movimenti di cui si compone, solo pochi sono concepiti anche per voci soliste: in essi le parti vocali e quelle strumentali sono, sia pure solo parzialmente, connesse dal punto di vista tematico. Nei movimenti affidati al coro, invece, il compositore conduce quasi sempre le voci in modo indipendente.
Il primo movimento “Gloria in excelsis Deo”, uno dei brani ormai più famosi della letteratura musicale barocca, con le sue ottave ribattute mostra una caratteristica specifica di Vivaldi: quella di riuscire a sviluppare energia da cellule assolutamente elementari ma che, proprio in tale semplicità, trovano la loro ragion d’essere musicale e strutturale.
Il secondo movimento “Et in terra pax hominibus” si caratterizza per un disegno armonico poco prevedibile; nello stile del fugato il procedimento della modulazione viene condotto attraverso percorsi quasi elaborati, producendo effetti di grande interesse.
“Laudamus te” è affidato a soprano I e soprano II che si rimandano a vicenda il tema, a volte ripetendolo tale e quale, a volte variandolo.
“Gratias agimus tibi” è un pezzo brevissimo di sole sei battute: è composto da una successione di accordi con la funzione di introdurre il successivo.
Il quinto movimento “Propter magnam gloriam” è una tipica fuga; la iniziano i soprani seguiti dai contralti, dai tenori e dai bassi; più avanti, nella seconda sezione, l'ordine degli attacchi è simmetricamente contrario.
Il sesto movimento “Domine Deus” è caratterizzato dal tempo alla siciliana, con quell’andamento tranquillo, cullante, tipico di questo genere; il soprano I espone un’ampia melodia con sviluppi e variazioni, che confermano il carattere pastorale del brano.
Non c’è una motivazione legata al testo, e qui esce fuori un’altra peculiarità dello stile vivaldiano, ossia quello di interpretare splendidamente la parola ma, dopo averli presentati, sviluppare i motivi in modo indipendente dal significato delle parole stesse, facendo trapelare sempre quella speciale inclinazione verso la musica strumentale.
“Domine Fili Unigenite”, è affidato al coro e si caratterizza per l’ossessivo ritmo puntato e i vocalizzi fortemente scanditi: anche qui è difficile trovare un rapporto tra il significato della parola e la composizione musicale, confermando ancora una volta l’impressione che questo “Gloria” sia una sorta di concerto strumentale affidato alle voci.
“Domine Deus Agnus Dei” ha tono introverso e riflessivo; il violoncello vi ha un ruolo dominante e anticipa gli interventi del contralto inframmezzati da interventi del coro che musicalmente fungono da accordi.
Il testo del nono movimento “Qui tollis peccata mundi” era stato già esposto, nella sua prima semifrase, nel brano precedente, quando il coro si alternava con il solista. Ora riprende le stesse parole, ma le conclude con la frase «suscipe deprecationem nostram». Il brano si divide in due parti: nella prima, di sole sette battute in tempo di Adagio, si hanno accordi lenti e solenni; nella seconda parte, sulle parole «suscipe deprecationem nostram» persiste l’andamento omoritmico, ma Allegro.
Il decimo movimento “Qui sedes ad dexteram Patris” è affidato alla voce del contralto solista; tutto il brano si svolge in un’alternanza di interventi solistici e orchestrali.
Per quanto riguarda l’undicesimo movimento “Quoniam tu solus Sanctus”, si tratta della ripresa del tema dell’inizio “Gloria”, ma in versione abbreviata.
Il dodicesimo movimento “Cum Sancto Spiritu” è una classica fuga il cui soggetto (si indicano con soggetto e controsoggetto il primo e il secondo dei temi che costituiscono l’ossatura di una fuga) è nettamente caratterizzato melodicamente, mentre il controsoggetto, basato com’era d’uso su valori più brevi, gli si contrappone in modo molto visibile.